C’è una parte privata della vita della senatrice che è poco conosciuta. È quella che viene dopo la tragedia quando, nonostante il dolore, ha creato una famiglia arricchita dall’amore per i tre figli.
La senatrice Liliana Segre sta spendendo gli ultimi anni della sua vita a portare in giro la testimonianza dell’Olocausto. Si tratta di una delle ultime superstiti a quel tragico pezzo di storia che ha segnato per sempre la prima parte del Novecento; una testimonianza che si fa tanto più preziosi in anni in cui i nazionalismi hanno ripreso a dominare la scena politica e culturale mondiale. Ma la vita della senatrice è anche stata segnata da momenti di grande gioia, su tutti a nascita dei tre figli, Alberto, Luciano e Federica, sempre al suo fianco nella battaglia per tenere viva la memoria di quegli orrori.

Alberto, Luciano e Federica Belli Paci sono i tre figli nati dall’amore indissolubile tra Liliana Segre e il marito Alfredo Belli Paci, avvocato e anche lui ex deportato tra gli IMI (internati militari italiani) per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò.
Una storia in comune quella della senatrice con il marito, entrambi attraversati dalla furia e orrori nazisti. Una vita insieme passata nel comune intento di ricordare al mondo ciò che è stato e che non dovrebbe più essere. Missione che è diventata di famiglia perché, al di là degli impegni privati, i tre figli da sempre sono impegnati con la madre nel mantenere viva la memoria.
L’onere e l’onere di essere figli di Liliana Segre
Restii a parlare del loro privato con la stampa, i figli (Alberto e Luciano) della senatrice hanno concesso il loro racconto privato solo a Famiglia Cristiana in una lunga intervista in due parti rilasciata lo scorso anno. La loro storia e il racconto di cosa abbia significato realmente essere i figli di Liliana Segre hanno deciso di esprimerlo solo nel documentario “Liliana” di Ruggiero Gabbia.

È in quel documentario che per la prima volta i tre raccontano cosa abbia significato la consapevolezza che la madre avesse vissuto e subito quell’orrore. Nell’intervista, Alberto (che porta il nome del nonno morto nelle camere a gas) ha raccontato di come da bambino sentiva l’esigenza di essere all’altezza del nome che portava, anche in virtù di un rapporto di simbiosi che sia madre e in nonno hanno avuto.
Non si sceglie di essere testimoni della Shoah, lo si è, così come non si sceglie di essere i figli di due sopravvissuti. Non hanno scelto scelto l’ordine militaresco che vigeva in casa, perché per Alfredo Belli Paci era fondamentale la protezione di sua moglie Liliana e nessun dolore sembrava potesse comparare con quanto vissuto ad Aushwitz, una presenza che aleggiava ma di cui non si parlava.
Ci hanno messo anni tutti e tre i figli a capire e per quanto questo orrore non si possa capire hanno deciso di farsi anche loro testimoni della missione che la loro madre si è posta. Così al di là delle loro carriere personali si impegnano attivamente. Alberto fa parte del direttivo del Comitato Pietre di inciampo, Luciano da avvocato civilista è vicepresidente della sezione milanese di Anei, l’Associazione nazionale ex interati nei lager nazisti.